"...perché fare la madre è il mestiere più complicato del mondo ed “essere” madre è un dono..."
I figli non ci appartengono.
Gli aggettivi mio, mia, miei e mie, non sono segno di possesso, solo di provenienza.
Con l’esperienza, ho imparato che i figli non sono nostri, loro sono destinati al mondo, le radici, l'ambiente, la famiglia, l’educazione ricevuta, rimarranno comunque il marchio che, nel bene o nel male, li distinguerà in quel mondo in cui andranno a vivere.
Sono stata una madre poco affettuosa e poco protettiva, complice la mia giovanissima età, intimamente sentivo di essere inadeguata. Così i sensi di colpa mi hanno accompagnata per anni, andando a peggiorare una situazione già difficile per conto suo: perché fare la madre è il mestiere più complicato del mondo ed “essere” madre è un dono, a mio avviso, riservato alle elette.
Cercavo di tamponare con la presenza le mie soggettive mancanze: ero dappertutto: consiglio di classe, consiglio d’istituto, feste in casa con orde di mostriciattoli scatenati, su e giù a casa degli amici, innumerevoli compleanni, poi rientri dalla discoteca, compiti infiniti, esami, ma l'inadeguatezza non diminuiva.
Poi, mia figlia maggiore si è ammalata, ammalata gravemente.
Io e i miei sensi di colpa abbiamo toccato il fondo.
Quel sabato pomeriggio, nella sala d’aspetto del pronto soccorso, mi sono spezzata: senza fiato, sono scivolata sul pavimento dalla parate contro la quale mi ero appoggiata, una lama mi attraversava lo stomaco, non respiravo, non pensavo, sarei morta. Punto.
Non sono morta.
Io non volevo, ma ho ricominciato a respirare e poi c’è stata quell'onda calda che dallo stomaco, li proprio dove mi aveva attraversato la lama, si è irradiata per tutto il corpo: era dolore, dolore allo stato puro.
Solo una parola: devastante.
Gli eventi tragici hanno solo due risvolti: o ti distruggono, o ti fortificano.
A noi la scelta.
Razionalmente non credo di avere scelto, so solo che è cambiato tutto: la mia vita, il mio modo di viverla e soprattutto il mio modo di scegliere.
Così ho scelto la libertà, non solo la mia libertà, ma anche e soprattutto quella delle mie figlie.
Lasciarle libere di vivere in questo mondo come loro desiderano, facendo continuamente a pugni con i soliti sensi di colpa, ma ho fatto quello che ritenevo più giusto: regalargli gli strumenti per essere autonome. Gli ho firmato un passaporto per la vita, un viaggio lunghissimo che le porterà, si lontano da me, ma verso il traguardo più bello: la propria identità di donne e di persone.
Si dice che il regalo più bello che fai ad un figlio sia la vita, io penso che quello che ha più valore è regalargli la libertà di viverla quella vita, a modo loro, sbagliando, pagando, ricominciando , amando e soffrendo, ma con la consapevolezza di essere qualcuno e non di qualcuno.
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