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Immagine del redattoreViola Monnalisa

Raccontare... Raccontarsi... Farsi raccontare...

Dedico questo spazio a coloro che abbandonandosi sui cuscini del mio divano, si sono raccontati.

Li ringrazio per avermi concesso di raccontare le loro emozioni in questo blog.

Le loro esperienze di vita mi hanno resa più ricca, quel genere di ricchezza che è bello condividere.




Sin da ragazzina, ad ogni evento, a ogni riunione familiare, mi venivano affidati in custodia i bimbi più piccoli e gli anziani. Una sorta di badantaggio forzato. Così mentre mi perdevo in stupidi girotondi e favole inventate li per li e sostenevo nonnetti claudicanti nel difficile percorso verso il bagno dopo averli serviti a tavola e nel peggiore dei casi imboccati, guardavo con occhi desiderosi i ragazzi più grandi fare comunella tra di loro. Invidiosa dei loro scherzi, delle loro risate e della loro complicità, mortificata del fatto che nemmeno si accorgeranno di me. Devono aver pensato che ero strana, mentre io mi sentivo, con sofferenza, un'esclusa. Io ero diversa per forza, per obbligo. Detestavo quei mocciosetti e quei vecchietti, ma loro mi adoravano. Ero il loro angioletto biondo, gentile e disponibile, mi richiedevano sempre a gran voce. Già allora mi avevano appiccicato addosso l'etichetta di missionaria della vita.

Era la mia condanna per essere nata donna. Così la sera, sognavo di aver riso e scherzato con i ragazzi che nemmeno mi avevano considerata. Ero la loro leader, il centro focale del gruppo, la primadonna.

A sedici anni sono rimasta incinta.

Ho fatto sesso solo perché era peccato, per ribellione a mia madre e per tenere il più bel ragazzo del paese accanto a me.

Trovavo unico e straordinario che lui, proprio lui, si interessasse ad una nullità invisibile come me. Purtroppo il mio senso di maternità è rimasto strangolato dalle mani unite in quei girotondi. Sono stata soffocata dai sensi di colpa per anni, espiando il fio con un doverismo che prosciugava le mie forze e annientava la mia anima. Anche i vecchi continuano a non piacermi. Pretendono.

Io odio le pretese. Continuo ad amare senza riserve i "ragazzi del gruppo". Amo ascoltarli, conoscerli, comprenderli, intuirne i pensieri. Osservo le loro mani quando si muovono, la postura, come camminano, come mangiano. Riesco a sentire quello che non dicono. Comprendo le motivazioni delle loro azioni e non giudico.

Oggi io sono in quel gruppo. Accettata. Amata. Li dentro io sono la me stessa realizzata. Ma sono ancora una donna, donnafiglia e in quanto tale ci si aspetta che continui ad accompagnare verso il bagno e ad imboccare. Ma io non sono una missionaria. Non è proprio nelle mie corde. Io faccio altre cose. Il mio talento è un altro. Non mi sento in colpa quando ammetto quanto detesto farlo.

Però lo faccio, si, a volte faccio ancora il girotondo, stringo mani e racconto fiabe.

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