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Immagine del redattoreViola Monnalisa

DENTRO AD UN FILM

"E’ quel passo, quello che innesco prima del saluto, quell'avvicinarmi intenzionale con il sorriso sulle labbra, prima che la mia coscienza prenda il sopravvento e costringa il piede a fermarsi."


Amo i film catastrofici, quelli in cui la terra sta per essere spazzata da un asteroide, orrendi tsunami devastano nazioni intere, i terremoti annientano le città del mondo e l’era glaciale copre il globo. Quello che non mi sarei mai aspettata è di entraci dentro lo schermo e vivere la catastrofe sulla pelle.

Non sono un’allarmista, sono logica, riflessiva, ma il mio mondo è in allarme, quindi lo divento anch'io, giocando alla normalità con una grande ansia interiore.

Questo è il virus della pandemia, è il virus senza passaporto che entra da tutte le parti, è il virus che non fa dogana, te lo ritrovi dentro casa senza sapere da dove è entrato.

E’ il virus che ci toglie il lavoro, che mette in ginocchio artigiani, imprenditori e tutta la nostra economia, il virus che blocca i trasporti, gli scambi, i viaggi e i viaggiatori. E’ il virus dell’apocalisse che ci fa saccheggiare i supermercati, che annienta la routine, che ci mette in quarantena, che ti fa lavare le mani cento volte al giorno e ogni volta speri di lavarci anche la paura.

Nei film della catastrofe, tutto finisce per il meglio: i protagonisti si salvano, il mondo ferito si risolleva. Quando arriverà la parola fine di questo film che stiamo vivendo, so bene cosa ricorderò io: oltre all'ansia che mi ha consumata, ricorderò questo come il virus della lontananza.

Io sono un essere profondamente sociale, le relazioni umane sono state al centro dei miei studi con una predisposizione, direi genetica, nel viverle. Quel metro di distanza, seppur indispensabile alla salvaguardia mia e dell’altro, mi ferisce.

E’ quel passo, quello che innesco prima del saluto, quell'avvicinarmi intenzionale con il sorriso sulle labbra, prima che la mia coscienza prenda il sopravvento e costringa il piede a fermarsi. Sono l'atleta nella posizione del via a cui viene negato lo start.

Il saluto vietato, ovvero l’abbraccio, la stretta di mano, il bacio, il comunicare con una manifestazione fisica quel “sono felice di vederti”, “sono felice di toccarti, perché tu esisti, perché tu sei”, ecco, questo mi manca terribilmente.

Mi sento defraudata dal diritto di amare stando vicino e questo, non te lo perdono.

Non ti perdono le scuole chiuse, i teatri che non aprono il sipario, i cinema senza pellicole, i musei senza code, i bar tristi, i ristoranti senza luci, le strade senza traffico, le serrande abbassate dei negozi e le mie amate persone prigioniere in casa.

Non ti perdono i saluti a distanza, camminare insieme stando lontani, le video chiamate per far finta di vedersi, non ti perdono che il mio personale universo stia diventando solo paura.

Penso al mio amico al nord, usa la sua quarantena per studiare il basso, sorrido al mio amico giornalista che sta facendo una lista degli abbracci mancati da restituire in tempi migliori e abbraccio, virtualmente s’intende, tutte quelle persone capaci di trasformare una situazione di disagio in una risorsa per fare altro.

Altro è un regalo personale, è una dedica fatta a se stessi, per quel tempo e quelle attenzioni che in clima di normalità non ci saremmo dedicati.

Altro funziona meglio se vestito con un pizzico di ironia.

Intanto io aspetto l’epilogo di questa prima visione agitandomi sulla poltrona.

In questo cinema ci sto davvero scomoda.

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