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Immagine del redattoreViola Monnalisa

IL NONNO...

"Se qualcuno ti fa male una volta, è colpa sua.

Se qualcuno ti fa male due volte, è colpa tua."

(Nicholas Sparks)

Avevo seguito il nonno nell'orto, mi aveva fatto sedere al margine del fosso, sotto l’albero ombroso. Prima aveva disteso un vecchio fazzoletto per terra, in quanto bambina dovevo sempre indossare il vestitino anche quando scorrazzavo nei campi.

“Nonno, perché tagli quei rami?”

“Perché sono secchi e tolgono nutrimento alla pianta.”

“ E perché li leghi nonno?”

“Li metto da parte per l’inverno. Ci serviranno per accendere il fuoco.”

Rimanevo a guardarlo mettere insieme fascine di potatura immaginandomi il fuoco d'inverno, sentendo già l’odore di quei rami bruciati, non sapendo che, in realtà, stavo guardando una grande lezione di vita.

Il gesto consumato del contadino che elimina i rami secchi improduttivi a vantaggio dei nuovi che rinnoveranno il ciclo produttivo.

Vita nuova per vita vecchia.

Linfa necessaria contro linfa sprecata.

Non sono mai stata una grande potatrice, nonostante l’esempio del nonno, ho faticato e fatico ancora a tagliare i rami inutili delle mie relazioni.

Quando tutto non va, quando l’uso che viene fatto di me provoca dolore, io rimango, sopporto, giustifico; così l’uso diventa abuso.

Rimango e lascio porte aperte, rinnovo chance, mi creo continue aspettative che la realtà puntualmente disillude. Mi attacco a quei pochi, intimi e significativi momenti di gratificazione, come se averli saltuariamente creati volesse dire: così per sempre.

Vuoti emozionali.

Questo è il nome che ho dato alla mia fame di amore, il cratere profondo del bisogno di essere amata e accettata così come sono.

Gli uomini della mia vita, pochi e importanti, hanno tratti in comune, aspetti similari, immaturità sentimentale e fragilità, mascherata da un palese narcisismo. La fine di ognuna delle mie relazioni, è stata segnata dallo stesso refrain: “in fondo, a modo mio, ti ho amata”. Il dolore è il grido strozzato del “perché nessuno mi ama a modo mio”?

Perché consapevole di starmene li a soddisfare i loro bisogni, soffocando i miei, sono rimasta? Perché non ho rotto, tagliato, potato così come mi era stato insegnato? Perché ho concesso di essere usata per riempire i loro vuoti, mentre i miei si trasformavano in voragini?

Perché le Donne che non sanno mai dire “basta” non si amano abbastanza, ma si odiano a sufficienza.

Mi sono odiata ogni volta che ho nascosto i lividi con una bugia, quando ho detto si invece di gridare un no, quando ho lasciato che gli altri prendessero decisioni per me. Mi sono odiata ogni volta che ho barattato una carezza con un sacrificio, ogni volta che ho accantonato un sogno per il sogno di un altro, ogni volta che ho sostituito un desiderio con un dovere, ogni volta che mi sono umiliata nel chiedere un po' d’amore, quando ho riempito un vuoto con un falso pieno.

Mi sono fatta pena.

Il giorno che passeggiavo nel cimitero dei miei fallimenti mi sono fatta pena, una profonda pena.

Non era tutta colpa mia, non era solo colpa mia.

Mi avevano insegnato, l’ubbidienza, il dovere il sacrificio, ma nessuno mi ha mai insegnato ad amarmi.

Questo sto facendo da anni, cerco di amarmi e di “sentirmi” e, quando mi sento, mi “ascolto”.

Non sono mai stata e non sono una grande potatrice, ma prima che faccia male, prima che smetta di volermi bene, io mollo tutto e vado via. Non è fuga: è amor di se stessi.

Se qualcuno ti fa male una volta, è colpa sua.

Se qualcuno ti fa male due volte, è colpa tua.

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