Dedico questo spazio a coloro che abbandonandosi sui cuscini del mio divano, si sono raccontati.
Li ringrazio per avermi concesso di raccontare le loro emozioni in questo blog.
Le loro esperienze di vita mi hanno resa più ricca, quel genere di ricchezza che è bello condividere.
"...prima di concludere il nostro incontro l'ho salutato con una domanda: è più grande il tuo bisogno di essere amato o la tua paura di essere amato?"
Sono tornato.
Londra era cupa, eppure mi ero portato dietro il tuo sorriso della gita al lago. Sorridevi e parlavi, parlavi e sorridevi, lo stesso modo con cui, la notte, hai fatto l'amore con me.
Abbandono la valigia in mezzo alla stanza, non ho più voglia di trascinarla, dovrei accendere il cellulare, scriverti che sono qua, che sono fatto di vento e solitudine, poi lo scaglio nel letto, li sul cuscino dove dormivi tu, spento.
Mi madre mi diceva che non ero in grado di amare nessuno.
Per anni ho pensato che fosse la sua maledizione, poi ho compreso che era la mia inadeguatezza.
Compreso, ma non risolto.
Così ho continuato a prendere senza dare niente, a lasciare, a tradire, ad allontanarmi immerso nei silenzi e le poche parole, frustate dell'anima.
Londra era buia, nonostante la luce dei tuoi occhi la prima volta che ti ho baciata.
Poi ti ho tradita e te l'ho confessato, ti ho fatto male, prima che tu ne facessi a me, prima che scoprissi che sono sbagliato, che sono vuoto, inutile e vuoto.
"Lascia che sia io a scegliere..."
Non te ne ho dato modo, l'ho fatto io per tutti e due.
Ben ripiegata sulla poltrona c'e la tua maglietta. Non ti ho nemmeno dato il tempo di riprenderla, così annuso l'odore di pelle, di sesso, di dolcezza e di lavanda.
Londra non ha la tua lavanda.
La mia vita non ha più la tua lavanda.
Mi sento più vuoto del solito.
"Potresti venire a riprendere la tua maglietta? E riprendere anche me, uomo di paure, in guerra con i fantasmi?"
Disfaccio la valigia, il telefono lo lascio spento.
La prossima settimana riparto per Londra.
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