"Son dell'antico faro i lampi di avventurosi marinai la salvezza.
Se della vita naviganti vogliam esser di quella luce che dentro noi giace impavidi facciamo faro presente e intermittente."
"Ehi là, come sei sexy stamani!" Esclamai meravigliata osservando incuriosita la mia giovane colf mentre varcava la soglia di casa.
Sospirando, non senza una punta di malizia nella voce, mi informò che il preside di suo figlio l'aveva convocata per un colloquio circa un'eventuale sospensione del pargolo.
Guardando il suo look "vedo non vedo", la camicetta leggera, quasi impalpabile, che lasciava trasparire i seni piccoli ma ben sodi dai capezzoli leggermente ambrati, sorrisi divertita.
Quale preside non le avrebbe concesso la grazia?
Mai avrei pensato che il "preside" in questione potesse essere mio marito se non l'avessi appreso da mio figlio, testimone oculare di quella tresca, tra suo padre e la menzognera servetta, che si stava trascinando da mesi con indecente arroganza dentro le mura della nostra casa.
Crimine efferato!
Brutale calpestamento della mia dignità e istigazione al tormentoso ruolo di spia ai danni di mio figlio.
Inferocita, con la testa in fiamme e ubriaca di indignazione affrontai i due adulteri come soldato in trincea.
Mentre mio marito con voce piagnucolosa andava ripetendo che a me non voleva rinunciare, lei con agghiacciante impudicizia giurava e spergiurava, quale innocenza probatoria, che i loro rapporti sessuali non erano mai stati consumati "fino in fondo".
Il preside e la servetta mi apparvero in tutto il loro squallore.
Scoppiai in una fragorosa risata, così poderosa da mandare in mille pezzi il mio esasperato egocentrismo che mi impose la calma: piacere...comprendere...creatura amabile che schiava di se stessa stringeva tra le livide nocche delle sue mani le sbarre della sua gabbia emotiva.
No, non più...la tempesta dentro di me si placò!
Con occhi acquosi e impudente faccia tosta mio marito implorò: "Posso stare con te finché non mi passa?"
"Oh, certo, perché no?", risposi e, con malcelato sarcasmo aggiunsi: " La - Signora -, come mi hai sempre, con disprezzo, apostrofato a causa delle mie origini altolocate, la - Signora - dovrebbe anche prostrarsi ai tuoi piedi fino al punto di accettare un ruolo non ben precisato in un perverso gioco a tree...?"
Ingoiando dell'amarezza il fiele lasciai che il mio sguardo vagasse in quel vuoto che aleggiava dentro e fuori di me.
Di certo il potere di distruggermi glielo avevo servito io su di un piatto d'argento nei quattro decenni di matrimonio che avevo condiviso con lui.
Quelle che potevano essere battute di una comica commedia furono per me scoperte sconvolgenti.
Toccai con mano il mio ennesimo fallimento, la vergogna di non essere stata di nuovo amata.
E più di un dubbio si affacciò nella mia mente.
Chi era veramente mio marito?
Uomo di irreprensibile integrità morale che aveva fatto dell'onestà la sua bandiera personale per oltre mezzo secolo o mero mistificatore della realtà?
Manager di indiscutibile serietà vittima di un disastro economico pandemico o impostore responsabile di un ammanco di oltre mezzo milione di euro dalla cassa dell'azienda di famiglia?
In quel mare oscuro e nebbioso in cui stavo per annegare unico faro, più di ogni altro ragionamento, furono il mio istinto, il mio intuito e una folata della mia immancabile "mania".
Iniziai una partita a scacchi con e contro di me per condurre la "Regina", la "Signora" della scacchiera, a smascherare quel fasullo "Re" avversario per dichiarargli "Scacco Matto"...
L'Araba Fenice
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